Lo smart working sta modificando la mentalità di una società che va ripensata e ricostruita dopo il danno subito dalla pandemia. Ma in che modo può essere producente? L'analisi del Professor Pesenti ci aiuterà a capire a che punto siamo e dove stiamo andando.

Professor Pesenti, prima di immergerci nel mondo dello smart working, possiamo fare una breve differenza tra smart working e telelavoro?

Quindi se diciamo che lo smart working è l’erede del telelavoro e una sua trasformazione, non sbagliamo?
Diciamo che il telelavoro è il risultato che la tecnologia ci permette di fare, lo smart working è ciò che è permesso dalla capacità umana di rendere la tecnologia organizzativamente efficace e umanamente sostenibile.Dall'inizio della pandemia a oggi quanto è cambiata un’azienda dal punto di vista dello smart working?

Si parla spesso di costi sostenuti dal lavoratore, come l’energia oppure lo spostamento da casa al posto di lavoro, ma lo smart working è davvero producente per la sostenibilità ambientale ?
In realtà da qualche parte la connessione ci deve essere, un computer attaccato a una rete elettrica, un riscaldamento e una luce accesi nel momento in cui servono, diciamo che se li spostiamo da un’azienda a una casa non vedo un grande risparmio se non quello dell’azienda a carico dei lavoratori. Per questo i contratti vanno poi riformulati conteggiando gli oneri che i lavoratori si devono sobbarcare, tenendo presente anche i costi che non si dovranno più sostenere come quelli di trasferimento. All’interno della recente pubblicazione "Smart Working Reloaded" scritto con Giovanni Scansani, citiamo uno studio condotto da ricercatori della Purdue University, della Yale University e del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che ha analizzato gli impatti idrici e sul territorio associati alla crescita di utilizzo degli scambi di informazioni digitali (Obringera et al., 2021). Lo studio segnala come, nonostante un calo record delle emissioni globali di carbonio nel 2020, il passaggio al lavoro e alla didattica a distanza, nonché all’intrattenimento online da casa causati dalla pandemia, avrebbe determinato un impatto ambientale significativo a causa del modo in cui i dati di internet vengono archiviati e trasferiti in tutto il mondo. Lo studio, ad esempio, segnala come un’ora di videoconferenza o streaming determini un’emissione di anidride carbonica compresa tra i 150 e i 1.000 grammi13, nonché una richiesta di acqua compresa tra i 2 e 12 litri.Ci disegnerebbe un quadro sociale diviso tra pubblico e privato per lo smart working?

- se il lavoratore è fatto per un lavoro così. Non tutti i dipendenti sono fatti per un lavoro che è agile, perché si avvicina a un lavoratore autonomo, quindi uno si deve autoregolamentare e non è detto che tutti siano pronti per farlo;
- non tutti i lavoratori potranno beneficiarne. Si stima che solo un terzo dei lavoratori possano essere smartabili. Quindi chi parla di introdurre un diritto allo smart working non sa di che cosa parla.
Quali sono le caratteristiche che un dipendente in smart working dovrebbe avere?

Sono tutti predisposti allo smart working?
Ecco questo è un altro problema. Io consiglio ai neolaureati di accettare posti di lavoro che non prevedano almeno la maggior parte del lavoro in presenza. Perché chi comincia un lavoro lo impara soltanto stando insieme agli altri, vivendo l'organizzazione, andando in mensa, chiacchierando, parlando nei corridoi o alla macchina del caffè. Solo lì si capiscono e si percepiscono diverse dinamiche del posto di lavoro. Se poi vengono proposti posti di lavoro 100% smart, rifiutateli perché non imparerete niente. Bisogna avere una grande capacità di autocontrollo, bisogna sapersi gestire il tempo. Per arrivare ad avere un autocontrollo e un’alta capacità di differenziazione di tempi di lavoro ci vuole esperienza. Per questo credo che lo smart working sia utile per chi lavora almeno da 10 anni, molto più utile se si hanno dei lavoratori anziani. Molto spesso le aziende hanno in casa dipendenti over 60 e diciamo che in quel caso farli lavorare in smart working potrebbe essere una buona pratica. A Milano stanno riadattando sedi periferiche per fare in modo che i dipendenti della Pubblica Amministrazione possano scegliere la sede più vicina a casa. Questo è un modo molto intelligente di fare smart working, con le mansioni che non hanno a che fare con le dimensioni individuali, ma con organizzazioni intelligenti, perché sono quelle indispensabili per fare smart working. Se sono organizzazioni che ragionano con i vecchi criteri di comando e controllo in presenza visuale, difficilmente creeranno uno smart working ma realizzeranno un panoptico 4.0, cioè una forma di controllo a distanza ancora più incisiva rispetto a ciò che accadeva in precedenza.A questo punto come subentra il diritto alla disconnessione?
Su questo tema viene fuori il vero paradosso. Il diritto alla disconnessione è tipico di un lavoro tradizionale che avviene per fasce orarie, ma allora siamo dentro la logica del telelavoro. Che va benissimo, ma non chiamiamolo lo smart working perché non deve avere né un dovere di connessione, né diritto alla connessione, né un diritto alla disconnessione. Ma consegna la responsabilità individuale tutte le scelte che dovranno essere fatte ogni giorno e ogni settimana, per raggiungere gli obiettivi e stare in relazione con i propri capi…Siamo in una fase di ricambio generazionale, Lei ha già suggerito alle nuove leve di iniziare a lavorare in azienda, ma il futuro dei neoassunti, qual è?

- comuni a tutti e appartenenti alle character skills, cioè intendo quelle competenze che hanno a che fare con autonomia, resilienza, capacità di lavorare in gruppo, comunicare e via dicendo;
- competenze Stem, cioè proprie dell’area delle scienze, tecnologie, automazione, intelligenza artificiale e così via…
In una società che va verso il pensiero breve, la facoltà di ragionamento è una caratteristica che sta morendo, non è d’accordo?
Assolutamente sì ed è proprio per questo che l’ho detto prima delle specializzazioni. L’idea attuale è che servono solo gli specialisti che non devono ragionare troppo ma che hanno competenze tecniche e conoscenze raffinate, da saper svolgere un compito nel modo migliore possibile nel tempo più veloce possibile. È una società asfittica a cui manca ossigeno e fiato. Specie dopo la pandemia, la società va pensata e ripensata. Siamo figli di una frase infelice di Margaret Thatcher pronunciata in riferimento alla società che stavamo costruendo, la società onigarista, disse : “There is no alternative”, la società in cui non ci sono alternative. Lo stesso concetto lo espresse, anche se pazzamente incompreso, Fukuyama quando parlò dopo la caduta del muro di Berlino parlando di “fine della storia”. Eravamo convinti di essere arrivati alla fine dell’evoluzione, di aver costruito il migliore dei mondi possibili e che da qui in avanti c’era solo bisogno di mantenersi. Invece purtroppo la pandemia, le guerre e quello che stiamo vedendo, ci ricorda che la facoltà di pensiero lungo e pensiero profondo saranno le caratteristiche più incisive. Per questo chi continuerà a studiare e approfondire sarà ancora più forte rispetto al passato, rispetto a chi si accontenterà di studiare una specializzazione ma non avrà la possibilità di avere un pensiero critico collaterale.Nel futuro del mondo del lavoro quali sono le conseguenze delle relazioni sociali? Sul posto di lavoro noi costruiamo relazioni, ma in smart working come facciamo a sviluppare le facoltà relazionali?

Parafrasando un suo testo stiamo creando una “società comoda” che fa fatica a staccarsi dal divano per tornare a lavorare.
Questa è una brutta conseguenza della pandemia. Nel 2020 coniai questa idea di "Società Comoda" in un breve articolo come un appunto fatto a me stesso. Ci siamo abituati ad avere tutto quello che era fuori casa, in casa: lavoro, studio dei figli, allenamento, il delivery che ci porta il cibo. Addirittura la messa per i cattolici, durante il lockdown. Si vede molto chiaramente che il ritorno al pre pandemia sarà un lavoro duro, perché la società comoda ci è entrata dentro psicologicamente come habitus mentale dalla quale facciamo fatica a uscire. Io lo vedo all’università, con una grande quantità di studenti con la possibilità di continuare ad avere una lezione in presenza, che preferiscono invece stare a casa piuttosto che venire in presenza. Pensate che esperienza stanno perdendo. Si viene in ateneo per conoscere gente, per rapportarsi con i professori. All’università nascono degli amori che poi magari diventano per la vita; si conosce gente che un domani darà da lavorare; si studia insieme all'università ed è un requisito fondamentale per arrivare in fondo. Ed è dura da soli. Se prima perdevi una lezione, avevi bisogno di un amico a cui chiedere l’appunto, oggi hai la telecamera che ha registrato. Non hai bisogno nemmeno più di avere degli amici. La società comoda qualcuno l’ha anche chiamata la società “chiusa in casa”, è asfittica, le relazioni diventano sempre meno e viene meno, io su questo continuo a pensare, uno degli elementi essenziali dell’uomo: l’imprevisto. Montale aveva scritto una poesia in cui diceva che l’imprevisto era la sola speranza. Riguarda noi stessi, le nostre abitudini, ci salvaguarda dalla replicazione che non porta a innovazioni e novità. Abbiamo bisogno di esporci nuovamente all’imprevisto che è un rischio, ma ci serve. Questo è un effetto della pandemia: difenderci a costo zero, senza rischiare nulla, difenderci come se non ci fosse un domani. Abbiamo dimenticato che la vita è anche prendere dei rischi. Se noi uscendo di casa non pensassimo al rischio ma all’opportunità che ci possa capitare qualcosa di buono, la vita sarebbe migliore. Abbiamo bisogno di rischi, imprevisti e nuovo spirito di avventura.Quindi il lato oscuro della società comoda è non uscire di casa?

Ci accorgeremo che molte di queste aziende non sono sufficientemente organizzate da un punto di vista informatico (lo smart working richiede, infatti, un’ottimale dotazione di hardware, software, connettivita, punti di accesso sicuri per proteggere le informazioni riservate, di modo che siano accessibili da remoto senza compromettere la sicurezza informatica e senza ledere la privacy di nessuno), da un punto di vista della formazione (il personale deve avere la possibilita di formarsi, capire come utilizzare determinati strumenti, ricevere consigli per svolgere un lavoro sempre piu smart) e non sono pronte a gestire lo smart working al termine dello stato di emergenza da un punto di vista giuridico-contrattualistico, per un motivo molto semplice: la legislazione emergenziale ha derogato temporaneamente l’obbligo dell’accordo tra le parti, dunque poche aziende sono formate su tal punto, e non saranno pronte (o comunque, avranno delle difficolta) a mettersi in regola.
Tutto ciò che hai detto è verissimo. Proprio per questo motivo, cerchiamo di produrre articoli che mostrino la realtà dei fatti e le problematiche da risolvere nonché le soluzioni che al momento si stanno proponendo in merito allo smart working. Siamo ancora molto indietro come organizzazione, ma soprattutto come modo di pensare e organizzare il lavoro agile, il nostro obiettivo è quello di raccontarlo per partecipare attivamente al cambiamento.