Turismo responsabile o sostenibile?

Insieme a Roberto Dati, esperto di AITR, analizziamo il turismo italiano post pandemia e stiliamo l’identikit del turista responsabile.

Parola d’ordine: vacanze

La parola d’ordine dell’estate è vacanze. Si avvicinano le ferie, si progettano viaggi e si sognano mete sempre più lontane. È la stagione del turismo e quest’anno, nonostante la curva epidemiologica in rialzo e i contagi in aumento, la voglia di viaggiare degli italiani si avverte più forte che mai.

Le cifre mostrano un desiderio sempre più scalpitante, che deve fare i conti con diverse realtà tra cui la crisi economica, ma qualche giorno fuori porta è doveroso per scattare la spina dalla solita routine e ricaricarsi le batterie per l’anno che verrà.

Dopo la tragedia della Marmolada, viene da chiedersi se il turismo italiano sia sostenibile o quantomeno responsabile.

Grazie a Roberto Dati, membro del consiglio direttivo di AITR – Associazione Italiana Turismo Responsabile – e docente di Sostenabitaly Academy è possibile fare un’analisi del movimento turistico attuale che la penisola tricolore sta vivendo.

Il turismo oggi

Se analizziamo l’insieme di come si è trasformato il turismo in Italia negli ultimi 10 anni, tenendo conto anche degli effetti della pandemia, come possiamo descrivere oggi il turismo italiano?

In questo quarto di secolo ci sono stati tanti cambiamenti. Dal nostro osservatorio a quello di turismo responsabile, constatiamo una sensibile e crescente adesione da parte degli operatori del pubblico, e dell’utenza in generale, ai valori e ai principi del turismo sostenibile e responsabile.

Per esempio è nato il termine di “overturism” –  definito dalla World Tourism Organization come “l’impatto negativo che il turismo, all’interno di una destinazione o in parte di essa, ha sulla qualità di vita percepita dei residenti e/o sull’esperienza del visitatore”.

Un termine per indicare lo strangolamento e spopolamento del turismo non solo nelle grandi città, ma anche in territori paesaggistici importanti come per esempio nelle Cinque Terre della Liguria.

Dopo la pandemia, questo fenomeno ha subito un profondo sconvolgimento e un rimescolamento delle carte.

Oggi si offre agli operatori e si richiede agli utenti un turismo dolce lento, dove l’incontro con il territorio sia più autentico, risaltando il rapporto tra viaggiatore e la comunità locale ospitante, cioè quella comunità locale che individua con i propri segni ben definiti in un determinato territorio, area, regione urbana o naturalistica, di mare o montagna.

Noi dal nostro osservatorio notiamo una crescente attenzione e cura che si divide in due aspetti: da un lato l’offerta turistica classica, il mercato si rende conto che certe destinazioni sono mature e tende a proporre certe rotte consolidate perché sono porti sicuri; dall’altro si vuole dirigere consumatori più avveduti ed esperti verso nuove mete e avventure diverse, si parla di turismo esperienziale, che è una moda, ma noi molto spesso lo abbiamo fatto prima ancora che il termine fosse coniato.

L’Italia si deve riprendere dai danni causati da questa emergenza pazzesca, mai vista nel mondo del turismo. Tutti gli operatori hanno tutti bisogno di tornare a lavorare non solo noi di turismo responsabile che siamo una minoranza. 

L’estate 2022 ci vedrà allenati a viaggiare insieme al covid oppure c’è ancora paura?  

Movimento c’è e c’è anche grande desiderio di viaggiare, ovviamente nei limiti dell’emergenza. Ma questa voglia fa i conti con la crisi economica, con l’inflazione, con il caro benzina e con tutti questi fattori.

Il desiderio legittimo da sostenere di viaggiare e visitare regioni e province c’è ed è giustificato dall’esplodere della pandemia. C’è movimento e ci sono casi come Venezia dove gli operatori hanno segnalato oggi un tasso di occupazione delle stanze del 75%, pari quasi al 2019 che era l’81%.

Tornano di stretta attualità le ricette di turismo responsabile che proponiamo, perché il turismo è una macchina meravigliosa per cui  possono beneficiare le regioni, le popolazioni e alla fine lo stesso turista che tanto è considerato come portafoglio ambulante in tanti contesti.

Secondo lei qual è il punto di forza e quello di debolezza, che quindi va potenziato, del turismo italiano?  

È difficile dare una risposta di sintesi. Ma se pensiamo al turismo di grandi città abbiamo un panorama diversificato. Sottolineando un nostro principio guida, possiamo dire che i vantaggi e gli svantaggi che vivono i turisti sono gli stessi dei residenti.

A questo punto mi viene da rispondere che la debolezza di una città come Roma è data dalla fruibilità, come anche a Bari, Napoli lì dove tanti problemi dal traffico e la mobilità sostenibile andrebbe incentivata fino a quello della gestione dei rifiuti.

L’immagine che città ed eccellenze italiane possono offrire ai visitatori soffre di queste criticità strutturali che non riguardano il turismo in senso stretto.

Se parliamo di turismo in senso stretto penso al settore dei trasporti dove tanto è stato fatto come lo straordinario investimento delle linee di alta velocità, ma ha lasciato indietro in disparte le linee minori per raggiungere un’Italia più piccola, dove si arriva troppo spesso solo con il traffico privato che soffre di strozzature e vive del leit motive del bollino nero per la viabilità.

Il punto di forza del turismo italiano è ciò che è sempre stato: città d’arte e parchi naturali protetti straordinari che hanno i loro problemi, ma si caratterizzano per ecoturismo, turismo green e ambientale. Poi abbiamo il tema dei borghi e dei cammini lungo le vie degli antichi pellegrinaggi religiosi. Sono un patrimonio italiano importante perché coniugano turismo lento, impatto ambientale basso, incontro con gli altri tra gli stessi visitatori e comunità locali, quindi sostenibile.

Esiste una differenza tra turismo responsabile e turismo sostenibile?

Il turismo responsabile nasce da una serie di iniziative, anche ambientaliste, che avevano fatto della sostenibilità il loro vessillo nel millennio precedente.

Il turismo sostenibile inizialmente era qualcosa relativo al tema dell’ambiente e della sostenibilità ambientale, tutte le attività sociali ed economiche, dovrebbero svolgersi e svilupparsi in modo da non pregiudicare la possibilità di fruirne da parte delle generazioni successive.

Questo era il concetto classico di sostenibilità. Il concetto di turismo responsabile aveva e ha tutt’ora l’ambizione di ampliare tutto questo approccio anche ad altri ambiti come culturale, sociale ed economico.

L’associazione italiana turismo responsabile è nata nel 1997/98 con il tentativo di fare una somma qualitativa delle varie sensibilità. Quindi sostenibilità ambientale, ma un turismo sostenibile maturo non può che essere responsabile e quindi mira a una sostenibilità in tutti gli altri ambiti.

Se dovessimo fare un identikit del turista responsabile, come lo descriveremmo?

La prima cosa è il rispetto. Dell’ambiente e delle persone che andiamo a incontrare. Storicamente il turismo è stato vissuto come un’invasione che non aveva attenzione per i territori dove si andava.

Attenzione, curiosità, desiderio di conoscenza e di mettersi in gioco, quindi non vedere i luoghi turistici da vedere come musei a cielo aperto, bensì come luoghi di scambio dove anche gli altri che ci ospitano sono interessati a sapere qualcosa di noi.

La Solidarietà è un altro aspetto importante.

Abbiamo iniziato facendo viaggi nel sud del mondo, in Africa, sud Est asiatico, lì dove il divario economico era molto forte tra visitatori e residenti del luogo, ciò ti dà l’opportunità di mostrarsi solidale con chi vive una situazione difficile ma che comunque ci apre le porte di casa e ci fa vedere il suo territorio.

Da qui nascono anche il desiderio di equità ed equilibrio. Non manca il senso di divertirsi che è imprescindibile. Il viaggio del turista responsabile deve avere gioia. Viaggiare è una grande opportunità per noi stessi, quindi cerchiamo il meglio per noi stessi, ma anche per gli altri.

Quindi si può essere viaggiatori senza lasciare traccia? 

Assolutamente si. L’unica traccia che vogliamo lasciare è nella mente e nei cuori di persone che visitiamo. Il turismo in generale speriamo sia quello dell’incontro, dello scambio, del rispetto dell’ambiente e delle culture che incontriamo.

Dal punto di vista di un confronto con le altre città europee, come si sta comportando l’Italia del turismo?

Ci sono le giuste aperture e c’è il modo corretto di gestire l’accoglienza. Ma la situazione ha una rapida evoluzione, cambia continuamente pertanto è difficile fare una  fotografia precisa.

Il nostro osservatorio poi è piccolo quindi è complicato essere precisi sugli andamenti e sui flussi. Recentemente sono stato in Spagna e ho visitato anche altri paesi, anche lì ci sono ritorni di fiamma del covid proprio come li abbiamo noi.

È una situazione che va tenuta sotto controllo.

Tolto questo, possiamo dire che ci sono delle grandi differenze con l’estero. Se penso a Torino, che gode di minore stampa rispetto ad altre città, in un contesto europeo ha grandissimi numeri: è vivibile, ha una grande offerta culturale, ha un buon equilibrio tra proposte naturalistiche e culturali, ha uno snodo verso il turismo alpino.

Insomma ha le carte in regola per una considerevole capacità attrattiva.

Roma invece ha delle difficoltà che, per le sue caratteristiche non impediscono il flusso attrattivo, si sta cercando di portare i pullman turistici fuori dalla città proprio come a Venezia si sta cercando di portare fuori le navi dal canal grande.

Si sta lavorando per arrivare al livello delle città europee.

Il boom dei B&B

Parlando di B&B, dal punto di vista della sostenibilità, il boom di queste strutture rischia di creare un altro valore insostenibile per le città che come Milano gli affitti sono pochi e costosi. con i B&B si rischia di accentuare ancora il problema.

Ci fa un’analisi anche di questo fenomeno?

Questo è un problema sociale che il turismo dovrebbe farsi carico. Abbiamo tante città dove diversi quartieri sono in difficoltà proprio come città europee tipo Barcellona, Berlino.

Si assiste all’espulsione dei cittadini dai centri urbani, un fenomeno drammatico perché comporta l’aumento degli affitti, la colonizzazione a fini turistici di condomini e abitazioni. Questo è un problema che dovrebbe vedere il coinvolgimento della politica con le  istituzioni locali e gli operatori turistici.

Airbnb è stato oggetto di una campagna di critiche perché da piccola start up americana è diventata un fenomeno mondiale con un impatto molto forte e negativo. Bisogna agire sul controllo delle licenze e sul contingentamento del rilascio delle licenze.

Un tasto dolente

Tasto dolente, parliamo dell’incidente della Marmolada. La crisi climatica mette a rischio il turismo della montagna?

Mi viene da immaginare che gli allarmi che da decenni gli esperti della protezione ambientale, glaciologi lanciano e tendono ad essere inascoltati. Mi viene da fare il paragone con gli avvisi che per legge vengono messi sui pacchetti di sigarette: il fumo porta al cancro però la gente continua a fumare.

Su questo c’è poco da fare, ma un impatto di un evento tragico come quello della Marmolada dovrebbe spingere a una maggiore cautela per quanto riguarda l’avvicinarsi alla montagna.

Ma anche qui ci sono state diverse campagne di sensibilizzazione in cui si lanciavano allarmi sul fatto che la diffusione del turismo in alcune località delle nostre Alpi, magari con turisti anche poco attrezzati, denotava un’assenza di consapevolezza che ora invece va rafforzata a causa degli sconvolgimenti del climate change.

La tragedia della Marmolada deve  servire da monito e da nefasto evento formativo per tutti quelli che giustamente si avvicinano al turismo montano che resta qualcosa di bellissimo che va protetto e sensibilizzato, non incentivato.

Anche gli stessi escursionisti devono chiedere alle autorità locali di intervenire e farsi carico degli accessi con estrema misura. Anche qui l’overturism dell’uomo sulla natura ha il suo impatto.

Che sia in mare o in montagna, in città o nei borghi, il turismo ha preso nuovamente piede ma il desiderio di viaggiare non deve superare il rispetto dei luoghi e delle popolazioni non cui si entra in contatto.

Essere viaggiatori sostenibili è possibile, fare turismo responsabile non è utopia. Il disastro della Marmolada, come anche la valanga del Kirghizistan dimostrano che la natura sta comunque subendo dei cambiamenti importanti.

Le autorità fanno scattare il progetto “turismo sostenibile” con le chiusure del lago di Braies ad auto e moto, potranno entrare solo in maniera contingentata. Per vivere il turismo con gioia bisogna essere responsabili.

Tutto parte dal rispetto del singolo per poi allargarsi a macchia d’olio anche alle comunità sempre più grandi. Le possibilità sono soprattutto nelle nostre mani, basta ricordare il rispetto.

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