Auto Elettriche: Sostenibili o complici dello sfruttamento ambientale?

Auto elettriche: il grande bluff della sostenibilità?
Questo il quesito che spopola sui trend topic che appaiono in ogni titolo di giornale, campagne creative televisive e oggi, più che mai, nei dibattiti internazionali.

Ha senso, quindi, sentire l’esigenza di voler andare sempre più veloci con il rischio di scontrarsi con una società che, di fatto, ancora non percepisce l’importanza di una vita sostenibile?

In Italia quanto davvero è stato compreso il valore della sostenibilità, intesa come evoluzione culturale basata sulla consapevolezza?

Quanto c’è di sostenibile dietro una nuova innovazione “a impatto zero”?

Uno dei settori più esposti a critiche sul tema della sostenibilità è senza ombra di dubbio quello dell’industria automotive per via della massiva produzione di veicoli 100% elettrici, cioè a impatto zero.

Questa tipologia di automobile viene percepita, dal singolo cittadino, come quell’innovazione che più velocemente potrà risolvere il problema ambientale.

Infatti, l’auto elettrica è il bene di consumo che ha visto, nel breve periodo, aumentare vertiginosamente le vendite; questo grazie anche ai copiosi incentivi del Ministero dello Sviluppo Economico, in linea con le disposizioni dell’Unione Europea.

A gennaio 2021 complessivamente sono state immatricolate 2.494 autovetture elettriche.

Gli incentivi statali

Una ricerca diramata da Acea  mette a confronto gli incentivi statali messi a disposizione dai governi di ogni paese membro dell’UE, stilandone una classifica: l’Italia è posizionata al numero 10, con delle agevolazioni statali che possono arrivare fino a 6.000 euro; in prima posizione troviamo la Romania con 11.500 euro, seguita dalla Croazia – 9.200 euro –  e dalla Germania con 9.000 euro.

 

Guardando questi dati si potrebbe facilmente evincere, in virtù dei cospicui incentivi statali stanziati dai diversi governi europei, che comprare un’auto elettrica equivalga ad un’azione concreta per la salvaguardia dell’ambiente; è plausibile, quindi, affermare che un veicolo elettrico nel ciclo della sua esistenza impatti positivamente sull’ambiente, ma fino a che punto?

Lo studio sul ciclo di vita delle auto elettriche

Uno studio condotto dalla Emissions Analytics, una società specializzata nella misurazione delle emissioni, mostra come nel ciclo di vita delle auto elettriche l’impatto di inquinamento ambientale derivi anche dall’usura di pneumatici e freni – quest’ultimi possono generare emissioni fino a 1.000 volte superiori rispetto a quelle prodotte da un normale motore termico.

Occhio alla batteria!

Non solo, la diffusione dei veicoli elettrici se non accompagnata da un utilizzo integrato di energie rinnovabili per la produzione delle batterie, potrebbe immettere più CO2 di quanto se ne risparmi.

Per dare un’idea basta pensare che produrre una batteria in Cina provoca un’emissione di 5,2 tonnellate di CO2, mentre in Europa potrebbe essere prodotta con meno della metà delle emissioni; ma come è noto, ad oggi, la maggior parte delle batterie viene prodotta in Cina.

Per trovare una soluzione concreta a questo problema l’UE per il 2050 si è prefissata l’obiettivo di riuscire a produrre 1 kWh di elettricità con un’impronta di carbonio pari a zero, questo grazie all’incremento dell’utilizzo di energie rinnovabili che passerebbero dal 32% al 80% del totale dell’intera produzione nei prossimi 30 anni.

Tuttavia, non sono solo le emissioni di CO2 a dover preoccupare.

Il ciclo di vita della batteria

Un altro problema di cui tener conto riguarda il ciclo di vita delle batterie delle auto elettriche che non prevedono un processo di estrazione sostenibile: tralasciando l’aspetto etico – e non per la poca importanza –, dalla produzione allo smaltimento l’impatto ambientale delle batterie è poco attenzionato, difatti, non a caso, molto raramente si sente parlare delle conseguenze ambientali legate all’estrazione dei minerali, quali litio e cobalto, o a piani di stoccaggio e recupero delle batterie usurate su larga scala.

L’Oro bianco del Salar de Uyuni

Il litio viene estratto nel Sud America, precisamente in Cile, Argentina e Bolivia. Quest’ultima è famosa per detenere l’80% dei giacimenti di litio in una vasta distesa salina di oltre 10.000 Km quadrati a 3.600 mt di altitudine, nota come Salar de Uyuni.

Il litio, meglio conosciuto come Oro bianco, non è un minerale semplice da estrarre richiede costi elevati e tecniche specifiche, il rischio ambientale risiede nella modalità d’estrazione mineraria che prevede un’enorme quantità d’acqua – ben 500.000 galloni -.

Di fatto in Cile, come divulgato da un recente studio di National Geographic, si sta assistendo ad un massivo squilibrio ambientale, alla perdita delle biodiversità e ad un eccesivo prosciugamento di fiumi e falde acquifere.

Un rischio concreto

L’estrazione senza freni del litio è dannosa e nociva per l’ambiente tanto da esporre le comunità locali a lunghi periodi di siccità e al rischio di contaminazione delle acque per le attività agricole.

Trasport&Environment in uno studio ribadisce che: “l’estrazione e la raffinazione dei materiali delle batterie e la produzione di celle, moduli e pacchi richiedono quantità significative di energia che potrebbero generare emissioni di gas serra così elevate da ridurre il marginale beneficio climatico derivante dall’utilizzo dei veicoli elettrici in luogo di quelli termici”.

Si pensa addirittura che le emissioni di CO2 scaturite dall’estrazione, lavorazione e trasporto dell’Oro bianco siano destinate a triplicare entro il 2025.

Cobalto: una questione morale oltre che ambientale

Lo studio del Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea porta alla luce i potenziali squilibri futuri tra domanda e offerta di questo minerale.

Già nel 2020 la richiesta di cobalto potrebbe superare l’offerta di mercato a causa del copioso utilizzo nelle batterie dei veicoli elettrici. Rappresenta, inoltre, uno dei componenti indispensabili per costruire una batteria; un dato interessante rilasciato dallo JRC è nel consumo globale di cobalto che nel 2025 ammonterà a 220.000 tonnellate.

Le miniere di cobalto si trovano quasi tutte in Congo, che detiene il 60% dei bacini minerari, e se ne estraggono 160.000 tonnellate ogni anno.

Un’aggravante legata all’estrazione di questo minerale risiede nello sfruttamento del lavoro minorile, giovani costretti a lavorare senza alcuna protezione o equipaggiamento adeguato, come denuncia Amnesty International in una sua recente ricerca.

Quando gli interessi economici incontrano un paese con degli evidenti limiti di regolamentazione politica è facile mettere a repentaglio il benessere della popolazione, soprattutto minori, per il guadagno di pochi.

Dalla nascita delle auto elettriche le zone d’ombra non sono mai mancate, soprattutto quando si esamina nel dettaglio una nuova tendenza a cui segue un cambiamento culturale.

E, se pur le vetture elettriche sono ancora lontane dall’essere sostenibili a 360 gradi, di fatto si sta cercando di educare la società alla sostenibilità.

Come?
Una valida soluzione sarebbe quella di riuscire ad attuare in tutta la filiera di produzione, processi che operino nel pieno rispetto dell’ambiente.

Detto questo, un primo passo potrebbe essere la realizzazione di una cooperazione globale in cui operatori economici e governativi lavorino sinergicamente nel reale smaltimento delle batterie in ottica circolare.

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