L’inquinamento da microplastica è anche dentro di noi

Dopo aver danneggiato l’animale, la microplastica minaccia anche l’essere umano.
Come salvarsi da questa pandemia difficile da annientare?

Dalla pandemia per covid-19 a quella della plastica

Se la pandemia da covid-19 ci ha fatto vivere l’esperienza di una malattia che si diffonde su scala mondiale a partire da un virus invisibile, oggi possiamo dire che il nostro pianeta ha molte altre malattie, che lo coinvolgono interamente e che spesso si devono a un fattore che sa anche essere invisibile.

Una di queste è legata alla plastica.

Siamo stati abituati a vedere il problema della plastica solo ed esclusivamente dal punto di vista dell’impatto ambientale e animale, convinti che non tocchi direttamente i nostri corpi.

Ma negli ultimi vent’anni, il problema sta coinvolgendo anche l’essere umano.
Questo perché l’urgenza dell’inquinamento di questo settore è sempre stato raccontato come se riguardasse solo la specie animale.

Del resto i numeri parlano da soli.
Attualmente si calcola un volume annuo di 8 milioni di tonnellate di plastica presente nei mari e, in parallelo, circa 1,5 milioni di animali uccisi dalla plastica.

La massa di corpi estranei ad oggi è talmente grande che ha generato il fenomeno definito Pacific Gargage Patch, una distesa di rifiuti “parcheggiata” nel nord dell’Oceano Pacifico talmente grande da costituire un nuovo “continente”.

Ma perché il problema della plastica assassina oggi colpisce anche noi esseri umani?

La plastica presente sulla superficie terrestre impiega diversi anni per decomporsi e fintanto che è in acqua è facilmente ingeribile dai pesci che ogni giorno finiscono sulle nostre tavole, andando a accumularsi nel corpo umano.

Una volta in acqua le microplastiche vengono ingerite dalla fauna marina e terminano il loro viaggio all’interno della nostra catena alimentare.

Lo studio di questo fenomeno era già in atto nel 2017 ed evidenziava già dei numeri preoccupanti.

Allora si stimava un 15/20% di specie marine contaminate da microplastiche presenti nel pescato destinato al fabbisogno umanitario.

Le microplastiche non sono presenti solo nel cibo che ingeriamo, ma anche nell’acqua potabile.

Secondo il report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stata rilevata la presenza di agenti inquinanti anche all’interno di acque marine, reflue, dolci, nell’acqua in bottiglia e in quella del rubinetto.

Una volta che il nostro organismo ingerisce agenti inquinanti può evidenziare delle influenze all’interno del sistema endocrino umano.

In condizioni di alta concentrazione o alta suscettibilità individuale, riportano i ricercatori, le microplastiche potrebbero causare lesioni infiammatorie, stress ossidativo e persino cancerogenicità e mutagenicità.

L’inquinamento da microplastica colpisce anche l’Italia

Attualmente, si stima che ogni chilometro quadrato di oceano contiene in media 63.320 particelle di microplastica, con differenze significative a livello regionale.

Questo è l’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep).

Gli agenti inquinanti persistenti, che sono i più pericolosi nella classificazione delle microplastiche perché impossibili da decomporre, sono rilevati in grandi quantità nelle coste settentrionali della Francia, nello stretto della Manica, e lungo la costa albanese.

Se pensiamo di risolvere il problema evitando di comprare pesce importato dall’estero, stiamo sbagliando.
Tra le varie distese d’acqua presenti nel globo, il Mediterraneo è uno dei mari più inquinati: qui si concentra il 7 per cento delle microplastiche a livello globale. 

Dal Mar Tirreno allo stretto di Messina, che detiene il record mondiale per il fondale pieno di rifiuti di plastica

Studi condotti negli ultimi due anni dimostrano come i mari italiani siano fortemente coinvolti nell’inquinamento da microplastiche.

Del Mar Adriatico, contaminato in comune con l’Albania, abbiamo fatto cenno, ma una recente indagine dell’università di Barcellona ha attribuito il primato mondiale di presenza di rifiuti nello stretto di Messina.

Addirittura si stimano un milione di oggetti per metro quadrato, un dato che mette in allarme chiunque.
Come se non bastasse, già nel 2019 Greenpeace, durante il tour “May day SOS Plastica”, stimava che il 35% di 300 organismi analizzati, tra pesci e invertebrati, presentasse fibre tessili e microplastiche ingerite.

Anche se questi sono stati presi nel dettaglio, in realtà tutto il mar Mediterraneo è soggetto a un grande numero di inquinamento per microplastiche.

Una delle ricerche più recenti condotte dal CNR stima che nel tratto tra la Toscana e la Corsica sono presenti circa 10 kg di microplastiche per chilometro quadrato.

Nelle coste occidentali di Sardegna e Sicilia, risalendo per le coste pugliesi, il numero scende a 2 kg.

L’impegno delle Nazioni Unite per la risoluzione dell’inquinamento da plastica

Il grido del Presidente di Marevivo, Rosalba Giugni, era già molto forte durante la campagna di lancio delle cannucce biodegradabili: “accogliamo con favore la strategia per la lotta ai rifiuti plastici (la dichiarazione appartiene al 2018 quando ci fu la riunione plenaria della Commissione europea a Strasburgo, ndr) ma occorre sostituire totalmente la plastica usa e getta, ad esempio le stoviglie ottenute dal petrolio, che purtroppo finisce nelle discariche o viene incenerita.

Ma è urgente che venga approvata una legge per cui possano essere correttamente smaltiti una volta riportati a terra dai pescatori, per ridurre la dispersione in mare”.

Il 2 marzo 2022 la campagna contro l’inquinamento della plastica, e microplastica, segna una giornata storica; infatti, le nazioni si impegnano a sviluppare un accordo giuridicamente vincolante entro il 2024, al fine di regolare un sistema di produzione, progettazione e smaltimento della plastica.

Secondo il comunicato stampa dell’Unep, la guerra contro l’inquinamento di microplastiche non colpirà solamente il sistema di smaltimento, ma tutto il ciclo di produzione.

Questo approccio fa sì che il rischio di sfuggire al controllo delle autorità sia ridotto al minimo e che il nostro pianeta possa tornare ad essere libero dalle sostanze industriali.

Uno dei tanti modi di risolvere l’inquinamento dalla plastica è anche utilizzare un sistema di economia circolare, come nell’esempio dell’azienda Klimis, che mostra come riutilizzare i rifiuti per creare un nuovo prodotto e proteggere l’ambiente: gli scarti dei semi delle olive diventano delle ottime bricchette per il barbecue.

Oppure l’italiana Mater-Bi, il prodotto della catena Novamont, che realizza materiale plastico biodegradabile.

I recenti studi sui materiali plastici prodotti dall’azienda novarese dimostrano che l’esposizione al sole, o al calore, oppure la sedimentazione in acque profonde, si decompone completamente nell’arco di 9 mesi.

Questo è uno dei sistemi approvati anche dall’Unep che, fa sapere sempre attraverso il comunicato, appoggia ogni progetto innovativo parallelo da parte dei singoli governi affinché si cammini tutti verso un’unica direzione: liberare il pianeta dall’inquinamento sulla plastica. 

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