Sostenibilità: moda ed etichette sotto osservazione

La moda è tra i settori più problematici dal punto di vista della sostenibilità, ma tutto è destinato a cambiare nei prossimi anni, etichette comprese.

Tutti i settori produttivi stanno facendo più o meno il massimo per ottenere certificazioni green e rendere l’azienda più sostenibile possibili in termini sociali, economici e finanziari. C’è però un’industria più recalcitrante rispetto alle altre a questa svolta green. Eppure è un settore che influenza o anticipa le tendenze delle persone attraverso la sua creatività. Stiamo parlando del settore della moda.

Sembrerebbe che il colore preferito della prossima collezione sarà il verde, sì il verde greenwashing.

Attenti al greenwashing

L’industria fashion abusa di questa pratica poco onesta nei confronti dei clienti e delle altre aziende che stanno impiegando tempo e risorse per una reale riconversione ecologica.
Un uso spropositato di etichette come “organico, eco, con materiali riciclati, sostenibile, cosciente”, il tipico linguaggio-trappola del marketing, molto vago che non vuol dire niente in concreto.

La nuova coscienza del consumatore

Le aziende della moda stanno sottovalutando i loro clienti e stavolta sembra che saranno proprio questi ultimi a dettare la tendenza agli stilisti e alle grandi firme.

Ormai il consumatore ha sviluppato una coscienza sul tema dell’ambiente che lo porta a controllare provenienza del prodotto, se troppo vaga capiamo già che il brand ha la coscienza sporca, controllano la composizione dei materiali con cui il vestito è stato fatto, se riciclati o meno.

A volte i brand non ecofriendly usano acronimi o numeri per identificare i materiali, occultando ai profani il significato di quei codici, ma ormai esistono delle app che vengono in aiuto per decodificarli. I veri marchi eco fashion provano con certificazioni anche come vengono prodotti i loro vestiti o accessori.
Secondo il Changing Markets Foundation addirittura il 59% delle etichette green sui prodotti della moda sono false, fuorvianti e ingannevoli.
Come dimostrano dei sondaggi, i consumatori vogliono e sono pronti a fare la loro parte nella lotta al cambiamento climatico anche partendo dall’armadio, ma un’industria che programma con ampio anticipo tutte le sue scelte sembra miope alle opportunità che offre la eco fashion.

Il mondo della moda non è ancora abbastanza sostenibile, perché?

L’industria del fashion contribuisce con un “bel” 8% di emissioni CO2 globali. Numeri astronomici letti così al volo ma per tessere borse, vestiti, magliette, jeans si muove tutto il mondo del tessuto.

Per fare un solo jeans, per esempio, vengono sprecati circa 7000 litri d’acqua e se poi pensiamo che tutto il settore si regge sulle delocalizzazioni di fabbriche nei paesi del Terzo Mondo capite bene che una bella fetta delle emissioni di gas serra deriva dal trasporto delle merci che inondano i mercati occidentali, sia via mare che via aerea.

Prezzi bassi, consumi alti e mercato online

Quello della moda è un settore che ha fatto sognare il comune cittadino con uno stipendio medio permettendogli di comprarsi il capo firmato ad un prezzo accessibile, ma il prezzo basso spesso si paga grazie a decisioni poco etiche, inquinanti e non rispettose dei diritti dei lavoratori, spesso sfruttati e mal pagati.

Prezzi bassi e capi disponibili ovunque in qualsiasi momento garantiscono all’industria di registrare numeri da capo giro in termini di fatturato e vendite. La possibilità di avere un capo d’abbigliamento a due click di distanza genera una smania da shopping che in pochi riescono a frenare, sopratutto le nuove generazioni.

Il mercato online sta guadagnando sempre più fette di mercato a discapito dei retail. Con prezzi sempre più competitivi grazie all’assenza di costi fissi come dipendenti e affitto le case di moda puntano molto a questo tipo mercato e cerca di avere sempre più stock in magazzino aumentando gli sprechi e l’impatto ambientale. Ogni tanto avrete letto che marchi come Burberry, Nike o H&M bruciano i loro prototipi o rimanenze di magazzino o semplicemente le mandano in discariche locate in Africa o altri posti del Terzo Mondo.

Un indicibile quantità di sprechi circonda un ambiente così glamour e patinato.

Lotta agli sprechi

I legislatori di paesi occidentali come Francia e USA stanno cercando di passare al setaccio tutti i processi produttivi che portano un vestito nelle vetrine dei negozi.
Un’impresa difficile vedendo come i grandi marchi si trincerino dietro il segreto industriale e non condividano informazioni riservate per non dare vantaggi ai concorrenti. Anche perché nemmeno i brand stessi sanno chi lavori ad un determinato jeans o maglione.

Le aziende solitamente appaltano a vari fornitori che a loro volta subappaltano ad altri soggetti moltiplicando dai 20 mila ai 50 mila fornitori con la casa madre ignara di tutto. Decisioni strategiche che non fanno certo contenti i consumatori che oramai si informano attivamente sul background dei brand cercando quello più sostenibile o trasparente.

La reazione dei consumatori

Recenti sondaggi hanno dimostrato come ci sia la più netta separazione tra quello che i marchi pensano dei clienti e l’effettiva volontà di questi.

Il 68% dei consumatori vorrebbe comprare capi d’abbigliamento sostenibili, il 51% ha dichiarato che si rivolgerà all’usato e l’81% ha mostrato la volontà di dare una seconda chance ai capi vecchi facendoli rammendare.

Dall’altra parte le aziende di moda sostengono quasi all’unanimità, circa il 94%, che conta solo il marchio stampato sopra, ma circa il 75% dei clienti ha dichiarato l’opposto.

Questa netta frattura tra cosa un’azienda offre e di cosa il cliente vuole, non farà altro che far fuggire ampi segmenti di mercato a tutta l’industria che sta ignorando il problema e, strano a dirsi, la tendenza del momento: processi produttivi solidali e certificati.

Sempre più giovani abbandoneranno il fast fashion per rivolgersi al mercato dei vestiti usati come lo testimonia il successo di piattaforme come Vinted.

Esistono però aziende del settore che già sono pianamente all’interno del cambiamento, come Patagonia.

Sostenabitaly fornisce gli strumenti e i corsi su come posizionarsi al meglio sul mercato durante la transizione ecologica della filiera produttiva.

Sostenibile vs Eco sostenibile: facciamo chiarezza sulle etichette

Non esiste una netta differenza tra i due termini ma cercheremo comunque di fare chiarezza.

È sostenibile un servizio o un prodotto che non intacchi irreversibilmente l’ambiente per le generazioni future.
Un prodotto è sostenibile se non utilizza troppe risorse o se impatta in piccolissima parte nel computo della CO2 prodotto.

Ecosostenibile si definisce invece una merce o un servizio in armonia con l’ambiente e che non lo compromette in nessuna parte.

Un prodotto ricavato da materiali riciclati non è necessariamente ecosostenibile, ma può rientrare nella categoria dei prodotti sostenibili.

Anche se sono stati riutilizzati materiali precedentemente lavorati, non bisogna dimenticare che il processo produttivo non si esaurisce con la sola creazione della merce, ma va tenuta in considerazione anche la fase successiva, come quella della distribuzione dello stoccaggio.

Secondo la Treccani, ecosostenibile è tutto ciò che viene creato seguendo le esigenze dell’ecologia.

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