Comunicare con frasi corte è diventato il must di oggi, ma come reagisce il cervello all’influenza tecnologica?
L’Arte della sintesi
Essere brevi e concisi è un’arte che diffonde grandi pensieri in pochissime parole.
Del resto Catullo con il suo “Odi et Amo” aveva già dato una lezione di quanto una brevità possa essere ricca di significato.
Nel corso del tempo in tanti hanno seguito il suo esempio come Dante e il suo famosissimo “e il naufragar m’è dolce in questo mare”, Ungaretti con “M’illumino d’immenso”, fino ad arrivare a scrittori contemporanei come Oriana Fallaci “La libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere”.
Si potrebbe andare avanti all’infinito.
Queste citazioni sono tutti esempi di come il “Pensiero breve” possa avere un grande impatto, immediato e rapido.
Espressione = modo di pensare
Ma nel corso del tempo, il pensiero breve ha preso uno spazio sempre più grande e soprattutto ha subito una profonda trasformazione di senso e portata, finendo per diventare l’espressione che definisce un modo di pensare, sempre possiamo ancora chiamarlo così, sempre più concitato e rapido.
Complice di tutto ciò è l’impatto che alcuni mezzi tecnologici, inclusi internet, la rete, il mondo digitale, hanno avuto sulla nostra capacità di attenzione.
La velocità con cui il mondo virtuale ci ha progressivamente fagocitati ha avviato la lenta morte del pensiero lungo, approfondito, ricercato e analizzato favorendo una forma più abbreviata e empatica.
Comunicare concetti profondi in 140 caratteri è possibile?
Probabilmente sì, ma di sicuro non sarà presente una spiccata analisi.
Il fatto di sapere sempre cosa ribattere e farlo nel più breve tempo possibile non è di certo un gran vanto.
Piuttosto è frutto di una schiavizzazione che ha silenziosamente preso piede sotto il mantello della grande crisi sociale che ha colpito la popolazione mondiale.
Il cambiamento degli ultimi vent’anni non ha colpito quindi solamente la sfera economica e la tecnologia è entrata prepotentemente nelle nostre abitudini, tanto da sconvolgere alcune funzioni cognitive.
Il nostro cervello, con il passare del tempo, ha iniziato ad abituarsi alla presenza della tecnologia e in qualche modo a rendere pigra la propria capacità di attenzione.
Il cervello ha imparato a delegare
Abbiamo imparato a delegare le mansioni di memorizzazione dei contenuti alle macchine che abbiamo a disposizione tutti i giorni – cellulari smartphone, tablet, pc, drive… – certi che poi li avremmo trovati pronti opportunamente.
Lo stesso procedimento di sostituzione del cervello alla macchina avvenne tantissimi anni fa per la calcolatrice.
Trovare oggi qualcuno che sappia fare le operazioni complesse a mente è più difficile, specialmente nelle ultimissime generazioni.
Questo processo di immagazzinamento esterno dei contenuti ha permesso che il nostro cervello si disimpegnasse e iniziasse inconsciamente a delegare una serie di compiti a strutture esterne.
Questa evoluzione è inevitabile nel momento in cui viviamo un’era che ci permette di avere accesso immediato a una grandissima quantità di contenuti.
La velocità, i diversi canali da cui arrivano le informazioni, la memoria che costruiamo lungo il percorso della nostra vita sono tutti dati che ad un certo punto il nostro cervello smette automaticamente di immagazzinare per difesa personale.
Proprio così.
Sono necessari dei meccanismi di difesa per impedire alla mente di andare in sovraffollamento.
La tecnologia sotterra il pensiero lungo
Questa digitalizzazione delle informazioni, dei contenuti, delle vite di ognuno di noi è diventata oggi il nostro modo di pensare.
Questo è il terribile processo che sta disintegrando secoli di analisi e di creatività pensata e ragionata.
La tecnologia ci sta cambiando e noi nemmeno ce ne rendiamo conto.
Il modo di pensare è diventato più superficiale, più diretto e immediato.
Non siamo più disposti a ragionare, analizzare e ponderare situazioni e argomenti con il distacco classico di un confronto.
L’essere umano non è più un soggetto pensante, ma come il documentario “the social dilemma” aveva inquietantemente preannunciato, è diventato solamente un numero, una pedina nel mare della realtà digitale che viene utilizzato come un campione di marketing da analizzare, profilare, spacchettare e vendere senza possibilità di replica.
Entriamo così pericolosamente in una realtà che vede le persone come oggetti e non come soggetti caratterizzati dal libero arbitrio.
La politica è un chiaro esempio dello sviluppo del pensiero breve
Un chiaro esempio di come la tecnologia abbia modificato il modo di comunicare, è chiaramente visibile anche nel modo di fare propaganda politica.
Il pensiero lungo ed elaborato ha lasciato il passo a risposte brevi, interventi poco elaborati, che non lasciano spazio al confronto.
La sfera politica si è adattata a un linguaggio più conviviale piuttosto che prediligere una struttura più ricca, figlia di un’attenta e pensata analisi.
Twitter, Telegram, Facebook e in alcuni casi anche Tik Tok sono utilissimi per entrare nella mente delle persone, passando dal cuore o dalla pancia.
Le informazioni che arrivano oggi sono infatti l’unione tra notizia e emozione, attribuendo a queste seconde un ruolo molto più importante rispetto a quello che dovrebbero avere.
Come possiamo fare per tornare a pensare adeguatamente?
“Il nostro modo di conoscenza parcellizzato produce ignoranze globali” è il grido di Edgar Morin all’interno della sua analisi sul pensiero breve intitolato “La via”.
Il pensiero breve è frutto di un approccio superficiale che non viene sviluppato e maturato.
Serve urgentemente invertire la rotta.
Aria di rivoluzione
C’è la necessità di una rivoluzione, che ad oggi portano avanti solamente teatri e editori, spazi culturali dove ognuno di noi ferma il tempo e si prende la libertà di poter riflettere e approfondire concetti.
Come fare quindi per ritornare a pensare in maniera adeguata?
Innanzitutto accettando di smettere, come ha scritto Baricco, di surfare sulla superficie del mondo e riabituarci, ma anche riabilitarci a scendere i gradini del profondo: meno, meno velocemente con più consapevolezza e cura dell’approfondimento.
L’obiettivo non è semplice e per farlo è una buona norma imparare a rallentare i ritmi e a prendersi del tempo per sé.
Diverse aziende hanno sposato questa filosofia e spesso, attraverso pratiche orientaleggianti, tentano di frenare il vortice della velocità ricorrendo alla meditazione.
Come d esempio le grandi aziende internazionali come Google e Apple, mentre restando nei confini nazionali, da una decina di anni, è una pratica negli studi di Rds.
Questa pratica non solo aiuta a rallentare i ritmi ma prova che la produttività aumenta.
Le idee ci sono, le pratiche si stanno man mano sviluppando, manca la volontà delle persone di tornare ad avere un confronto aperto.