Il caso Patagonia

Leggi l’intervento del CEO di Sostenabitaly Francesco Santioli sulla decisione sostenibile di Patagonia.
Il caso Patagonia, che ha avuto in questi giorni molta attenzione sui media, segna senza dubbio un altro piccolo spostamento dell’asticella nel processo (spesso sotterraneo, talvolta in superficie).

Troppo spesso ancora di facciata, alcune volte profondamente autentico (di ridiscussione dell’identità e del ruolo delle imprese)

Un processo che negli ultimi anni sta compiendo passi continui, grandi accelerazioni e radicali innovazioni.

L’ultimo passo “istituzionale” forse sono state le società benefit, prima ancora le imprese sociali

Nuove forme profit e non profit che in qualche maniera rappresentano una cucitura tra il mondo dell’impresa e il bene comune, cambiando lo sguardo delle prime verso la cosa pubblica e concentrandolo sul secondo, distraendolo dalla mera massimizzazione del profitto.

Prima ancora abbiamo conosciuto le forme cooperative, le fondazioni filantropiche, fino a risalire al 1950, momento dell’affaccio sul dibattito pubblico del concetto di responsabilità sociale dell’impresa, che ha lungo l’ha fatta da padrone, per poi mutare anch’esso fino a mettersi in disparte.

Patagonia

Ed ecco che in questi giorni Yvon Chouinard (nella foto), il fondatore di Patagonia, ha fatto compiere al mondo del business un altro “piccolo” passo ulteriore, non so se in avanti, senz’altro in alto, senza mille proclami e promesse (come nessun altro normale miliardario avrebbe fatto), ma semplicemente spogliandosi di un diritto aziendale fondamentale: il profitto.

Esatto, ha scritto proprio così nella sua lettera: “La Terra è il nostro unico Azionista”. E con una “semplice” mossa di trust ha incardinato nell’azienda la devoluzione di più del 90% dei propri utili, o meglio tutti gli utili non reinvestiti nell’azienda, a una no profit per la salvaguardia dell’ambiente.

Mentre la restante quota, con potere decisionale, l’ha appunto affidata a un trust che si occuperà di supervisionare l’andamento sostenibile e le scelte strategiche dell’azienda.

Poniamoci le giuste domande

Questa non semplicissima architettura aziendale di salvaguardia ci mette immediatamente di fronte a delle domande.

  • Forse non esiste ancora un modello giuridico di impresa, al passo con le idee di un imprenditore come Yvon Chouinard?
  • Forse l’istituzione pubblica non ha ancora pensato e non ha nemmeno accolto la possibilità che esista nel mondo del business la generosità e lungimiranza di imprenditori del genere?
  • Quanto siamo ancora lontani dalla forma con cui davvero imprenditori come Yvon Chouinard si sentono rappresentati dalla propria azienda o possono tradurre nella veste di governance la propria idea di impresa?
  • Dove deve arrivare la mutazione del mondo del business?

Forse imprenditori come Yvon Chouinard ci dimostrano che il privato, stanco di un pubblico che proclama ma non interviene, sta piano piano sostituendosi al pubblico stesso, silenziosamente, prendendosi cura di ciò che di cui è responsabile – anche qui sarebbero molte le domande: è un lavoro di sostituzione o di supplenza?

L’urlo degli imprenditori!

Nel primo caso è corretto? Nel secondo per quanto può durare?  Forse il privato, o meglio, gli imprenditori che non hanno più bisogno o non hanno mai avuto il desiderio di millantare la loro abbondanza economica con barche e aree privati hanno capito e stanno gridando al mondo che l’impresa più grande non è accumulare denaro in quel poco tempo che abbiamo (e che impegniamo in una frenetica corsa della soddisfazione personale), ma salvare la possibile esistenza futura, non solo nostra, perché è la prima condizione per la felicità di tutti.

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