L’estate e la sostenibilità: c’è un modo per muoversi sostenibilmente?

Il professore Pietro Spirito fa il quadro delle infrastrutture italiane durante il periodo estivo. Nel periodo estivo le infrastrutture fanno gli straordinari.

Non ci sono solamente le ordinarie faccende commerciali a cui far fronte, ma va soddisfatta anche la richiesta proveniente dalla mole di turisti che si spostano in lungo e in largo nella penisola italiana.

Quanto si può essere sostenibili negli spostamenti

Dopo aver illustrato come si può essere sostenibili viaggiando e vestendo i panni di turisti insieme a Roberto Dati, bisogna capire quanto si può essere sostenibili negli spostamenti.

A fare un’analisi del momento che viviamo in Italia è Pietro Spirito, Professore straordinario di Management delle infrastrutture pressò Universitas Mercatorum e docente dell’Academy di Sostenabitaly.  

«Noi italiani abbiamo una mappa del turismo che è davvero singolare. Non tutta l’Italia è riuscita a costruire un’attività turistica forte. Quest’anno è la prima volta nella storia del turismo nazionale che Napoli rappresenta la più alta densità di viaggiatori nella storia.

Precedentemente era al quarto o quinti posto, mentre Venezia era al primo posto e poi veniva Roma.

La situazione oggi

Oggi invece le cose cambiano e purtroppo qui vengono i nodi al pettine, perché non esiste un sistema di servizi e di mobilità che sia capace di cogliere il turismo per essere competitivi.

Basti pensare che la regione che ha più km di ferrovie per abitanti è la Campania. Qui il problema non sono le infrastrutture, ma i servizi che corrono su quelle infrastrutture.

Perché la frequenza del servizio fa la differenza

Si può anche avere la rete ferroviaria, ma se poi un treno passa ogni 20 minuti, non puoi definire quella rete una metropolitana. Perché la frequenza del servizio fa la differenza.» – Pietro Spirito (nella foto).

Quindi il problema di fondo non è avere una rete che possa gestire la maggiore affluenza, ma il servizio erogato dalla regione?

«Il problema è comprendere che sta cambiando un po’ tutto quello che è il trasporto nelle città. Le città erano abituate a costruire il sistema di trasporto basato sul motivo di lavoro e di studio perché erano loro che si muovevano.

Con lo smart working sta cambiando molto sotto questo punto di vista, perché si decongestiona molto il flusso di trasporto nelle ore classiche.

Bisogna ricostruire una matrice di offerta che sia coerente con la domanda. Chi organizza i servizi non sta considerando questo aspetto.»

Quali sono quindi i servizi che andrebbero incrementati per far fronte al problema?

«Facciamo un altro esempio: in Campania abbiamo 8 km di costa, ma se guardiamo i collegamenti marittimi, noi svolgiamo questa attività solo con le isole. Non vengono mai presi in considerazione i collegamenti con punti diversi della costa come, per esempio, Napoli e Salerno. Bisogna avere una capacità di innovazione, pensando quali sono le tecniche efficienti per evitare gli errori del passato.»

L’errore dei motocicli elettrici

Se dovessimo fare un esempio di cattiva gestione dell’innovazione nelle infrastrutture, quale potremmo menzionare?

«Un errore grossolano effettuato in questi ultimi anni è rappresentato dai motocicli elettrici. Abbiamo visto come questi nuovi mezzi di spostamento stanno devastando le grandi città.

Questo perché vengono gestiti in modo anarchico. Ragionevolmente questi servizi dovevano essere integrati con il trasporto pubblico. Andavano fatti dei parcheggi in prossimità delle metropolitane.

Potevi andare da casa alla metro in monopattino o in bicicletta e lasciarla nei parcheggi della stazione ferroviaria, o metropolitana, come accade nelle città più organizzate come Modena e Reggio Emilia per esempio.

A Roma o a Napoli questo non è possibile e assistiamo al vandalismo o all’anarchia della gestione delle risorse elettriche. Il cittadino non è nemmeno invogliato ad andare con i propri mezzi. Manca questo sistema di intermodalità che ti consente di integrare l’offerta di trasporto individuale con l’offerta di trasporto collettivo.

Oggi accade che ogni modo di trasporto va per conto suo, è l’anarchia più totale. Questo fa solo confusione. Se io genero un sistema controllato, dove posso usufruire di strutture coerenti a supporto, i cittadini avranno dei servizi più comodi.»

Nuove forme sostenibili

Cosa si sta facendo per poter generare sistemi di infrastrutture sostenibili nelle grandi città?

«In questo periodo si stanno sperimentando forme nuove. In Germania con 9 euro al mese si possono usare i mezzi pubblici, in Spagna lo hanno già fatto e per i mesi di luglio e agosto il trasporto è gratuito. Vediamo quale sarà la reazione dell’opinione pubblica.

Ci vuole innovazione, fantasia e capacità a migliorare la produttività nelle imprese pubbliche di trasporto.

Non è carino che a Roma, nella capitale, ci sia un tasso di assenteismo del 15%. Immaginate che in un’azienda, ogni mattina si alza la serranda e di 100 dipendenti ne mancano 15 perché malati. Così il trasporto non funziona.»

E Roma?

Ecco parliamo proprio di Roma, è evidente come la città sia martoriata dal punto di vista del trasporto. Il sindaco ha proposto una nuova iniziativa, ma le infrastrutture non sono pronte e idonee.

«Ho vissuto a Roma per molti anni e ho lavorato anche in Atac.

Il primo elemento da sottolineare è che i cittadini vogliono il servizio, ma non vogliono pagarlo. Oggettivamente il cittadino non fa il suo dovere, così come il dipendente atac non fa il suo dovere perché è assenteista.

Manca l’offerta?

Dipende! Ci sono quadranti della città che hanno un’offerta ridondante. Ad esempio il collegamento tra l’Appia e il centro ha la metro A, quattro linee di autobus che fanno la superficie. Una persona ragionevole dovrebbe spostare le linee autobus lì dove la metro non c’è e il servizio è meno collegato.

Ma questo non si può fare perché i cittadini dell’appio, che non vogliono pagare il biglietto, si dispiacciono che il servizio non ci sia. Però magari serve sulla nomentana dove la metro non c’è e le linee vanno rafforzate.

Il problema  di base sta nell’applicare razionalmente il servizio e fare in modo che la politica, il sindacato, i fornitori, tornino a fare il loro mestiere e non si occupino di trasporto; che è una variante tecnica e va organizzata da chi ci capisce ed è in grado di organizzare il servizio.

Come funziona il meccanismo?

Conosco bene il meccanismo per questo mi permetto di dirlo.

Facciamo l’esempio delle ferrovie all’inizio degli anni ‘90, che avevano 225 mila dipendenti e facevano meno treni di ora che abbiamo ferrovieri sono 70 mila. I politici li infilavano in azienda senza una reale professione.

Dobbiamo tornare al concetto che quando si fa un’attività legata al trasporto, si fa un’attività industriale. Quando il trasporto tornerà ad essere tale, allora si parlerà di trasporto.»

Serve la privatizzazione?  
«Le ferrovie sono una società per azioni. Ci sono tre gradi: la società giuridica, il privato che ha un’attività privata. Si può fare ma non nelle infrastrutture perché sono un monopolio naturale. Una linea metropolitana non può entrare in competizione con un’altra.

Quando non c’è concorrenza, i privati è bene che non ci siano. I privati che entrano in un mondo senza concorrenza ammazzano il mercato e sfruttano il monopolio.

Il terzo elemento: si può simulare il mercato, mettendo in concorrenza più soggetti.

C’è una legge di più di un quarto di secolo fa che ha recepito dicendo che è chiaro che il trasporto pubblico è sussidiato nelle città, ma va messo in gara tra chi può offrire il servizio migliore.

Non è mai stata fatta nessuna gara, tranne in Toscana che è stata assegnata dopo 15 anni perché il monopolista precedente ha mollato difficilmente. Vogliamo essere un paese moderno o vogliamo fare una brutta figura? Stiamo facendo la seconda perché ognuno si fa gli affari propri mettendo davanti l’interesse l’individuale rispetto all’interesse collettivo.»

L’influenza della politica

Quanto è influente la politica in questo frangente?

«La politica siamo noi, tutto dipende da noi cittadini. Siamo noi cittadini che facciamo politica andando a manifestare sotto palazzo Chigi, oppure siamo noi balneari o autisti dell’Atac che andiamo a fare casino sotto il comune di Roma. La politica è l’esito del nostro corporativismo.

Non dobbiamo pensare che i politici siano eroi. Sono persone comuni che devono ottenere un consenso. Se il consenso lo ottiene per effetto della bandiera del corporativismo, perché questo vogliono i cittadini italiani, i politici italiani alzano quella bandiera.

Non cerchiamo alibi, siamo noi che guardandoci allo specchio dobbiamo riconoscere il politico che è in noi.»

Messaggio ai giovani

Il corso di Sostenabitaly è rivolto anche ai ragazzi, giovani studenti che approcciano la sostenibilità e il mondo dei trasporti, che messaggio vogliamo mandare alle nuove leve che entrano nel sistema dei trasporti e delle infrastrutture al fine di essere sostenibili?

«Che devono fare una grande battaglia. Devono costruire il futuro ed è bene che non lo costruiscano con lo specchietto retrovisore. Perché se si costruisce con le logiche del passato, questo Paese non ce la fa.

Il futuro vuol dire guardare avanti e alle esperienze internazionali. Bisogna avere coraggio nella discontinuità. Se le giovani leve fanno i pecoroni, scavano la loro fossa.

O pensano che stanno costruendo il loro futuro o pensano che stanno costruendo la loro tomba. Se vogliono rimandare di pensare alla lapide, è meglio che si mettano a lavorare con serietà.»

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